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Farmaci e benessere

Sempre più spesso oggi, si ricorre con estrema superficialità all’acquisto di farmaci: antidepressivi, ansiolitici od anfetamine. Si confida spesso nel loro “aiuto” per affrontare problemi che in un dato momento sembrano difficile da sostenere o, come spesso accade, per condurre una giornata più tranquilla. Inoltre oggi si parla di depressione e tristezza credendo che siano la stessa cosa, per cui curare l’una significa curare anche l’altra dimenticando che sono manifestazioni estremamente diversificate e con durata molto diversa. La tristezza è legata spesso alla vita quotidiana e alle sue difficoltà, è uno stato che si presenta successivamente a separazioni, a fallimenti, a stress. La depressione è invece uno stato più persistente, che si lega ed investe diverse sfere della vita del soggetto, creando difficoltà di concentrazione, pensieri tristi, insonnia, perdita di appetito, perdita di interesse e di autostima. Forse non tutti sanno che questi farmaci intervengono solo su sintomi specifici, quindi, in questo caso, diminuendo stati d’ansia o sentimenti depressivi ma senza risolvere “cosa” ci sta procurando quel malessere.

L’attenzione alla nostra vita, ovvero, darle valore, è quello che la Psicologia del Benessere considera fondamentale perché si mantenga un sano equilibrio! Comprendere cosa ci fa stare male per evitarlo, che si identifica spesso in problemi di coppia, problemi familiari, difficoltà di relazione, rappresenta una grande consapevolezza da cui poter partire e riprendere la situazione in mano.

Più assumiamo farmaci, invece e più, senza rendercene conto, imprigioniamo le nostre energie, il nostro “medico interno”. La medicina ci dice che il nostro corpo è capace di produrre tutti i farmaci di cui ha bisogno se è stimolato nel modo giusto: fare sport, ridere, coltivare degli hobbies, dedicarsi degli spazi possono spesso contribuire al nostro benessere poiché ci permettono di trovare un contatto positivo con la vita e con sentimenti positivi. Basti pensare alle beta endorfine prodotte durante l’attività fisica: sono considerate alla base di quella sensazione di euforia successiva al movimento. Alcune ricerche affermano che serotonina e noradrenalina sono elevate e favoriscono il buon umore dopo aver fatto attività fisica. Dato che molti farmaci agiscono aumentando i livelli di questi neurotrasmettitori si deduce che il movimento favorisce il loro rilascio.

Quindi i farmaci che il nostro organismo è in grado di produrre sono detti endofarmaci sono miliardi e di gran lunga più efficaci di quelli che ci propongono le case farmaceutiche, gli esofarmaci. Il loro utilizzo è bene riservarlo a casi di emergenza, quando è inevitabile far ricorso alla medicina esterna. Molti vengono assunti per casi molto gravi, per veri e propri disturbi mentali, per cui il loro uso è necessario e spesso accompagnato dal sostegno psicoterapico. Qui stiamo parlando dell’abuso, della superficialità con cui oggi si ricorre al farmaco!

In realtà sono nuovi tipi di “droghe”, anche se ancora non si riesce a chiamarle in questo modo e continuiamo a convincerci che sono solo delle medicine, ma non è così. Sono detti anche ibridi, tra medicine e droghe da strada, oggi parte della vita di molte persone che pensano di poterne fare a meno. Vengono usati in molti ambiti nelle scuole , nelle case di riposo, per bassa autostima, per stati d’ansia o per piccoli dispiaceri. Tuttavia benché ci si ostina a chiamarli medicine sono molto diversi dai farmaci per la cura di malattie. Sono dei farmaci che alterano la mente, alterano l’umore, ciò significa che sono in grado di cambiare il modo di pensare, di sentire della persona o di alterare quello che una persona vede.

Non si può tralasciare di far riferimento agli effetti collaterali legati, quali spasmi, distorsioni facciali, irrequietezza, reazioni maniacali, disfunzioni sessuali, confusione , attacchi di panico solo per dirne alcuni.

Di estrema importanza è l’assuefazione che ne deriva. Molti non credono che lo psicofarmaco porti alla dipendenza, ma l’astinenza da questi può essere molto più forte di quella delle droghe da strada.

La cosa grave è che questi farmaci godono di molto favore da parte dell’ambiente medico, sono facilmente reperibili ma questo non toglie nulla alla loro pericolosità. Ognuno di noi inoltre è diverso dagli altri e ha dunque bisogno di una posologia diversa e farmaci diversi. Attenzione all’automedicazione!

Ognuno di noi ha in sè le risorse per poter affrontare ciò che di poco piacevole sta accadendo alla propria vita. Individuare cosa manca, cosa ci fa stare male rappresenta sempre un inizio per riprendere quota e ristabilire degli equilibri scombinati. La Psicologia del Benessere sostiene la persona nella ricerca della propria armonia. Il potenziale umano è ritenuto solo momentaneamente soffocato per cause interne o esterne alla persona, per cui necessita di attenzione per ridarle vigore, permettendole di ritrovare gioia e serenità.

Secondo l’approccio del “pensiero positivo” adottato dalla Psicologia del Benessere, stati depressivi possono insorgere perché viene a mancare la motivazione, la gioia di vivere, non è sempre il passato a determinare il malessere del momento ma spesso è l’angoscia per il futuro. Ritrovare il coraggio e la positività aiuta a riprendere in mano molti aspetti di noi che abbiamo tralasciato. La Psicologia del Benessere cerca proprio di sostenere la persona in questa ricerca, ridonando fiducia nelle proprie capacità, sostenendo la motivazione personale per realizzarsi nella vita. Contrastare pensieri negativi che ci inducono facilmente alla depressione con pensieri positivi che scaturiscono inevitabilmente da un atteggiamento ottimista verso la vita può restituire le forze per iniziare a cambiare

Come trovare il benessere senza il farmaco?

La causa alla base del miglioramento dell’umore di una persona non è però da ricercare in un solo fattore e neanche in una ricetta preconfezionata di regole di vita, è piuttosto un insieme di fattori che contribuiscono al nostro benessere. Ognuno nella propria vita, dovrebbe svolgere questo compito e cercare il proprio benessere, individuando ciò che più lo rende felice senza dimenticare che siamo tutti molto diversi e ciò che rende felice uno non rende felice l’altro. La Psicologia del Benessere cerca di intraprendere un cammino di scoperta individuale, puntando ad identificare immediatamente le sfere della nostra vita alle quali non prestiamo la dovuta attenzione cercando in esse la risorsa per arginare la tristezza e la mancanza di interesse.

Quindi è bene trovare fiducia nelle nostre risorse per rendersi subito conto di quanto il farmaco può essere spesso inutile.

Imparare a prendere in mano la nostra vita, trovare le nostre vere emozioni, trovare ambienti e situazioni che ci aiutano ad esprimerle e non sentirci zombi sorretti da qualcosa di artificiale, perché è come mettere un coperchio ad una pentola che bolle e continuerà a bollire se non spegniamo il fuoco, quindi se non capiamo cosa ci fa stare male.

Chi ci è passato avrà sentito che il fisico ci comunica che qualcosa non sta andando come dovrebbe e l’insegnamento che dobbiamo trarre da questo è che il fisico ha sempre ragione, così dovremmo cercare di partire da questo disagio per trovare il nostro benessere. Ascoltare se stessi, i segnali che manda il nostro organismo è molto importante.

Perché trascurarlo e torturarlo con inutili pagliativi?

E’ importante essere convinti che ognuno di noi può essere responsabile del proprio star bene. Nonostante gli eventi possono scoraggiare il nostro atteggiamento positivo verso la vita è necessario che questo non costituisca un motivo per abbandonarla del tutto. Non ci facciamo del bene annullando noi stessi e chiudendo le porte al mondo, cerchiamo la serenità in modo diverso non procurandoci altri problemi. Trovare alternative al farmaco questo è l’atteggiamento da mantenere, prendere coscienza che lo stesso problema può essere affrontato in più modi e non ne esiste uno solo. Avere sempre un’attenzione a 360° su come intervenire cercando la soluzione meno dannosa per il nostro organismo e più sana.

Rivolgersi ad un esperto, domandando, confrontando la propria esperienza con quella di altre persone, soprattutto non essere mai soli! Non credere che la via più breve sia quella migliore, piuttosto il più delle volte la via più breve è quella meno efficace perché non permette di assimilare i cambiamenti, al contrario, le vie più lunghe facilitano il nostro rapporto con il cambiamento e permettono un confronto costante. In questa ottica allora possiamo dire che il farmaco ci mantiene passivi, soffoca le nostre emozioni, ci evita di sentire emozioni dolorose ma non ci darà neanche la possibilità futura di sentire le emozioni positive perché comunque staremo soffocando la nostra sfera emotiva che ha necessità di esprimersi.

 

Come gestire le emozioni legate al dolore cronico

Il dolore cronico causa una sofferenza che non è solo fisica. Le emozioni (rabbia, dolore, amarezza), molto intense, causate dalla presenza del dolore cronico possono influire pesantemente sul nostro modo di rapportarci con coloro che ci sono vicini, sull’immagine che abbiamo di noi stessi nonché sulla percezione del dolore stesso.

Per questo motivo è fondamentale utilizzare degli accorgimenti che ci permettano di gestire al meglio tali emozioni. Ecco cosa suggeriscono gli studiosi della Mayo Clinic.[1]

1. Ammettiamo le nostre perdite. Nella maggior parte dei casi un primo passo per convivere con delle emozioni negative è quello di ammettere la loro esistenza.

Una persona che soffre di dolore cronico sperimenta prima di tutto una forte sensazione di perdita. La perdita può riguardare diversi aspetti della propria vita: · lo stato di salute · l’indipendenza · la privacy · la soddisfazione lavorativa · la possibilità di praticare un hobby che dava piacere · l’intimità sessuale · la possibilità di vivere serenamente le proprie relazioni familiari · la possibilità di divertirsi con gli amici · il sentirsi forti e fiduciosi in se stessi · un senso di soddisfazione.

Non è affatto facile affrontare perdite di tal genere. La risposta naturale a tutto ciò è una profonda tristezza che a sua volta può scatenare diversi altri sentimenti.

Anche nell’arco della stessa giornata si possono sperimentare diverse emozioni.

La maggior parte delle persone reagisce con dei sentimenti che sono molto simili a quelli che si potrebbero provare nel caso di un lutto per la perdita di una persona molto cara:

· Negazione.

Potreste negare la presenza del dolore cronico nella vostra vita e continuare a cercare delle cure o delle soluzioni veloci, anche quando vi fosse stato detto che il vostro dolore non è eliminabile o che richiede un programma di riabilitazione a lungo termine. · Rabbia o frustrazione. E’ frustrante non riuscire a porre rimedio al proprio dolore.

E’ facile sentirsi spesso teso e nervoso, soprattutto quando abbiamo l’impressione che gli altri non comprendano quanto stiamo soffrendo. · Depressione. Potreste sentirvi sopraffatti da un senso di tristezza, inutilità e disperazione. Potreste non provare più piacere nel fare le cose e tendere ad isolarvi. · Colpa e vergogna.

Potreste sentirvi diversi da come eravate prima, soprattutto nei confronti delle persone che vi sono più care. Potreste provare colpa e vergogna per aver deluso le loro aspettative. · Accettazione. Potreste smettere di concentrare i vostri pensieri sulle cose che non riuscite a cambiare e cominciare a pensare al futuro, accettando l’idea che il dolore fa parte della vostra vita.

E’ più facile affrontare il dolore cronico se: · Riconosciamo di aver subito delle perdite importanti · Ammettiamo i nostri sentimenti con noi stessi e con gli altri: familiari, amici che sentiamo vicini, il nostro medico curante.

Parlare di come ci sentiamo è il primo passo per mantenere il nostro benessere emotivo, anche in una situazione così difficile.

2. Impariamo a gestire la nostra rabbia Molte cose possono contribuire a farci sentire arrabbiati: il dolore che non lascia tregua, la difficoltà a dormire bene, problemi al lavoro per le continue assenze, difficoltà economiche. Lo stato di rabbia, se pur giustificato, può danneggiarci in vari modi.

Quando siamo arrabbiati il nostro organismo secerne delle sostanze chimiche che possono causare mal di testa, mal di schiena, ipertensione, problemi gastrointestinali: inoltre la tensione muscolare e la difficoltà a rilassarsi aumentano la nostra percezione del dolore.

Ecco alcuni modi per poter affrontare la sensazione di rabbia: · Cerchiamo di capire che cosa ci suscita rabbia. Se ci rendiamo conto che una determinata situazione ci suscita rabbia, facciamo in modo di evitarla o di fare qualcosa per modificarla.

Ad esempio, se ci rendiamo conto che le insistenze di un familiare o di un amico su un determinato argomento ci suscitano rabbia, possiamo chiedere alla persona di evitare di parlare di quell’argomento o comunque trovare delle strategie per evitare che lo faccia (ad es. portare il discorso su un altro argomento per noi neutro). ·

Riconosciamo i segnali della rabbia incipiente. Può darsi che quando cominciamo a sentirci arrabbiati sentiamo le mascelle che si serrano o una tensione dolorosa dietro la nuca o altri segnali del genere. Impariamo a riconoscerli e a considerarli dei “campanelli di allarme”.

Rispondiamo in maniera appropriata a questi segnali. Quando vi rendete conto che state per arrabbiarvi, fate una piccola pausa. Contate fino a dieci, respirate profondamente, guardate cosa c’è al di là di una finestra, qualsiasi cosa vi permetta di “staccare” un attimo di interrompere l’escalation della rabbia. · Prendiamoci del tempo per tranquillizzarci. Se sappiamo che stiamo per affrontare una persona o una situazione che di solito ci suscitano rabbia, facciamo qualcosa che ci permetta, preventivamente, di scaricare la tensione che avvertiamo: ascoltiamo della buona musica, facciamo una passeggiata, dedichiamoci a qualche attività (va bene anche pulire casa o lavare l’automobile). · Non nascondiamo la nostra rabbia.

Se l’atteggiamento o le parole di qualcuno ci fanno arrabbiare diciamoglielo pure apertamente. Tuttavia evitiamo di attaccare verbalmente la persona ricordando tutte le volte che ci ha fatto arrabbiare in passato e non glielo abbiamo detto. Limitiamoci ad esprimere la nostra rabbia per l’episodio attuale e soprattutto poniamo l’accento su come ci sentiamo noi piuttosto su quello che la persona ha fatto per farci arrabbiare. Ad es. è più utile dire “Mi sono arrabbiato quando hai usato quella espressione”, anziché dire “Non fai altro che offendermi” ·

Cerchiamo delle valvole di sfogo.

Cercate dei modi creativi per scaricare la vostra rabbia. Potreste cominciare a dipingere, a scrivere, o comunque creare qualcosa.

· Chiediamo aiuto.

Chiedete a delle persone di cui vi fidate di aiutarvi a trovare delle soluzioni, magari dandovi dei suggerimenti, per gestire la vostra rabbia. Non possiamo impedirci di provare rabbia, ma senz’altro possiamo trovare dei modi per gestirla evitando che essa diventi un serio problema e finisca per farci sentire ancora più dolore.

3. Pensiamo positivo. Cerchiamo di utilizzare un linguaggio interiore che ci trasmetta positività. Tutti noi, con un po’ di sforzo e attenzione possiamo divenire consapevoli di quei ‘pensieri automatici’ che attraversano la nostra mente in ogni momento della giornata.

I nostri pensieri automatici possono essere positivi o negativi. Alcuni di questi pensieri sono logici e ragionevoli, altri derivano da veri e propri “errori cognitivi”, conclusioni a cui giungiamo in maniera irrazionale. L’utilizzo di un linguaggio interiore positivo serve, appunto, ad affrontare gli errori cognitivi e confutare le conclusioni errate confrontandole con pensieri positivi e razionali.

Ecco quali sono le principali forme di pensiero irrazionale:

a. Filtrare.

Potremmo prestare attenzione agli aspetti negativi di una situazione lasciando del tutto fuori della nostra percezione, e dei nostri pensieri, quelli positivi. Ad esempio potremmo concentrare i nostri pensieri su un aspetto non soddisfacente del nostro lavoro, non dando invece alcuna importanza a tutti gli altri aspetti positivi.

b. Personalizzare.

Pensare che quanto di negativo accade intorno a noi sia colpa nostra. Ad es. se una persona non mi saluta è perché è in collera con me (un’ipotesi alternativa è che sia semplicemente distratta)

c. Generalizzare.

Potreste vivere una situazione negativa come il segno che tutto il resto nella vostra vita andrà male. Ad es. quando sentite che il vostro dolore non va via potreste avere dei pensieri del tipo: “Non potrà mai più fare quello che facevo prima”, Sarò sempre un peso per le persone che mi sono vicine”, “Non valgo più niente”.

d. Catastrofizzare.

Quando catastrofizziamo automaticamente anticipiamo il peggio. Ad es. potremmo evitare di uscire o di incontrare degli amici nel timore che ci colga un attacco di dolore. e. Polarizzare.

Le cose possono essere bianche o nere, buone o cattive. Se c’è qualcosa che non va in noi allora siamo da buttare.

f. Emozionalizzare.

Permettiamo ai nostri sentimenti di influenzare i nostri giudizi. Ad es se ci sentiamo stupidi e senza valore allora pensiamo che “siamo” stupidi e senza valore.

Possiamo imparare ad utilizzare un linguaggio interiore positivo. Non è difficile, ma sono necessari tempo ed esercizio.

Nel corso della giornata, fermiamoci e cerchiamo di divenire consapevoli dei nostri pensieri automatici (non scoraggiamoci se non ci riusciremo subito). Può essere utile, soprattutto all’inizio, appuntarli non appena ne diveniamo consapevoli. Esercitiamoci quindi a trovare un pensiero positivo in risposta ad ogni pensiero negativo individuato.

Seguiamo queste semplici regole:

· Non diciamo a noi stessi cose che non diremmo a nessun altro

· Siamo gentili ed incoraggiant

i · Quando diveniamo consapevoli di un pensiero negativo, valutiamolo razionalmente e rispondiamo ad esso con delle affermazioni positive per noi.

4. Impariamo ad essere assertivi.

Spesso ci è difficile dire di no, per diversi motivi, tra cui il timore di perdere l’amore e l’approvazione degli altri. Ma evitare di dire un “no” quando lo desidereremmo e quando pensiamo che sia la cosa migliore per noi, non fa altro che far aumentare il nostro senso di rabbia e di frustrazione, oltre che a farci avvertire ancora di più il dolore. Essere assertivi significa “dire di no”, far valere le proprie ragioni, esprimendo onestamente i propri sentimenti, senza per questo ferire gli altri o ignorare le loro ragioni e sentimenti.

Ecco alcuni suggerimenti per comunicare in maniera più assertiva: a. Osserviamo il nostro comportamento Cerchiamo di dare un giudizio obiettivo sul nostro comportamento mentre comunichiamo con gli altri. Cerchiamo di notare quando riusciamo a comunicare le nostre ragioni in maniera ferma e decisa, senza offendere chi ci è di fronte.

Prestiamo attenzione poi a quando o con chi assumiamo invece un atteggiamento aggressivo, di prevaricazione oppure, al contrario, quando assumiamo un atteggiamento passivo in cui sentiamo che ci stiamo “mettendo da parte” malvolentieri.

Cerchiamo di capire che cosa ha fatto sì che noi assumessimo un atteggiamento passivo o aggressivo e cosa possiamo fare perché ciò non ci ricapiti in futuro. b. Pensiamo prima di rispondere. Non rispondiamo la prima cosa che ci viene in mente.

Pensiamo un attimo quale potrebbe essere la risposta più appropriata per ottenere realmente ciò che desideriamo. c. Prepariamoci. Immaginiamo di dover incontrare una persona con la quale vogliamo avere un atteggiamento assertivo.

Chiudiamo gli occhi, immaginiamo la situazione, le cose che la persona potrebbe dire e il modo in cui vorremmo rispondere assertivamente. Quando la situazione si presenterà davvero, saremo più preparati ad affrontarla.

d. Prestiamo attenzione al linguaggio del nostro corpo. Assumiamo una buona postura (schiena eretta, testa alta) quando comunichiamo e guardiamo il nostro interlocutore negli occhi.

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