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Maternità e benessere

Quale sensazione è più bella e più completa nella vita di una donna se non la maternità?

La maternità è principalmente: gioia e serenità! L’esperienza più piena e più profonda di ogni essere umano!

E’ quell’evento che permette ad una donna di “ascoltare” veramente il proprio corpo, stabilendo, per la prima ed unica volta nella sua vita, un’ unità psicorporea.

Il bambino neonato riempierà il cuore e la vita di chi lo circonda.

O almeno così dovrebbe essere, perché, purtroppo, spesso si presentano delle situazioni più complesse, a partire già da dopo il parto, al ritorno a casa: difficoltà nell’allattamento, bambini che non dormono la notte. O situazioni che possono manifestarsi più in là nel tempo. Finito l’entusiasmo iniziale, infatti, emerge un inatteso disagio derivato dalle rinunce dei propri interessi, dalla difficoltà nel ristabilire la vita di coppia, nel mantenere relazioni con gli amici.

Insomma, situazioni come queste, e tante altre, portano a pensare che il momento tanto sognato non corrisponde esattamente alle attese!

Obiettivamente oggi è difficile: nella nostra società la gravidanza viene vista sempre di più come un peso ed un problema e, quindi, evitata, se possibile.

Purtroppo tutte le cose belle comportano difficoltà e sacrifici e così anche la gravidanza per quanto essa sia un evento straordinario!

Spesso molte di queste difficoltà possono essere superate se si offre alle mamme ed ai papà un aiuto a partire dal creare un ambiente empatico e di sostegno durante questo difficile percorso della vita.

Non bisogna “assuefarsi” a questo pensiero tanto diffuso di evitare questo momento fantastico!

La Psicologia del Benessere rivolge l’attenzione anche a questa sfera, perché possibile ulteriore via verso il Benessere .

Si offre, infatti, di far migliorare questa ottica prevalente, alimentando nel cuore dei futuri genitori:ottimismo, gioia e speranza!

I bambini, infatti, portano gioia nella famiglia e saperli amare fin dal momento del loro concepimento è testimonianza di un amore grande.

Via quindi quell’egoismo e quella paura sempre più dilaganti!

La Psicologia del Benessere propone di sviluppare una maggiore consapevolezza, invitando a:

  • fermarsi a riflettere sulla condizione personale attuale
  • interrogarsi circa i propri atteggiamenti e le proprie aspirazioni.
  • valutare criticamente il proprio percorso esistenziale.

Facendo ciò sarà forse più facile esplorare e focalizzare i pensieri negativi che portano ad evitare la maternità, per far spazio a sensazioni più positive.

Un passo successivo è il prendere coscienza che lo stile di vita e il “sentire” in gravidanza possono influenzare lo sviluppo futuro del bambino!

Quando siamo sani emotivamente, infatti, si crea una maggiore probabilita’ di un funzionamento sano del nostro corpo ed in questo caso, anche del bambino.

Dobbiamo imparare, che lo stress è dannoso! Esso provoca un aumento di cortisolo nel corpo e, durante la gravidanza, ciò è ancora più dannoso perché responsabile di parti prematuri, di morte neonatale e di complicanze generali nel bambino.

Anche un comportamento alimentare scorretto può incidere e danneggiare il feto, ecco perché seguire una dieta controllata, che preveda, in primis, la riduzione di bevande alcoliche e di fumo.

In previsione di una gravidanza, quindi, la Psicologia del Benessere suggerisce di cambiare il ritmo e lo stile di vita quotidiano adottato fin ad ora. Propone, così, un percorso di “educazione alla gravidanza”, ulteriore momento di crescita individuale.

Partendo dai risultati delle richerche scientifiche sull’effettivo flusso di comunicazione, a vari livelli, tra madre-bambino e bambino-madre, da quello fisiologico di scambio di sangue e di ossigeno e di altre sostanze vitali per un sano sviluppo del feto; a quello comportamentale, la Psicologia del Benessere, invita a sviluppare queste attività attraverso varie operazioni.

Innanzitutto creare intorno alla coppia ed quindi al bambino un ambiente armonioso lontano dal caos e da eventi spiacevoli, per quanto ciò sia possibile.

La mamma infatti deve cercare di essere rilassata e serena per poter comunicare efficacemente con il proprio corpo e di conseguenza con il suo bambino.

In questa relazione diadica può partecipare, senz’altro, anche il papà tramite il contatto verbale e affettivo attraverso il grembo della partner.

E’ molto importante la comunicazione con il bambino. La voce della madre deve essere bassa, calma, dolce, con essa può trasmettere valenze emotive ed affettive e ricevere risposte da parte del feto.

Questa comunicazione verbale, deve essere accompagnata da una “comunicazione gestuale” di massaggi e carezze sulla pancia: gesti di rassicurazione e dedizione.

Può essere determinante, in gravidanza, l’aspetto comportamentale dei due genitori e la loro volontà a mantenere un equilibrio.

Questo percorso di educazione alla gravidanza aiuterà la mamma a superare i disagi, preparandola ad affrontare anche il momento della nascita.

Molto importante è comunque imparare ad ascoltare il proprio corpo e mai come in questa occasione è necessario farlo; esso permette di entrare in contatto con la parte più profonda dell’essere, facilitando il rapporto con il bambino.

Questa sintonizzazione sarà più possibile se la madre sarà rilassata. Si consigliano: la meditazione; le tecniche di rilassamento; attività ricreative; tecniche respiratorie; tecniche yoga; massaggio, durante la gravidanza e al bambino neonato; ascolto di musica classica; la tecnica delle visualizzazioni, scegliere, cioè, un’ immagine energizzante che più si adatti al proprio stato d’animo e concentrandovicisi affinchè sia il più viva possibile. L’uso del diario quotidiano, per stare a contatto con le proprie emozioni negative, o positive che siano, poichè aiuta ad eliminarle e ciò è particolarmente utile in gravidanza poiché la vita cambia e cambia il fisico ai propri occhi e a quelli del compagno.

 

La depressione in bambini adolescenti

Come dimostrato da recenti ricerche i disturbi depressivi si presentano soprattutto nel periodo adolescenziale (1). Questo è un periodo particolarmente difficile, soprattutto per le ragazze (2-4). Scarse capacità di contatto interpersonale associate a processi di pensiero negativi, possono creare grosse difficoltà all’adolescente che cerca di modificare le sue relazioni con i coetanei e soprattutto con i familiari: a questa età il desiderio di autonomia va di pari passo con l’esigenza di sentirsi ancora protetti, l’esigenza di sovvertire ogni ordine dato si accompagna alla necessità di avere comunque dei punti di riferimento. Inoltre l’adolescente deve confrontarsi con il suo desiderio di emergere in un ambiente sociale e scolastico molto competitivo. Diverse possono essere le cause della depressione in bambini e adolescenti:

Eventi particolarmente stressanti (esposizione a violenze nell’ambiente sociale o familiare, difficoltà economiche, abusi nell’infanzia, lutti, separazione o divorzio dei propri genitori) a questa età possono influire sull’insorgenza di sintomi depressivi, sul rendimento scolastico e sull’assunzione di comportamenti a rischio di vario genere.

Caratteristiche cognitive individuali che possono influire sulla percezione degli eventi negativi.

Depressione di uno o entrambi i genitori. I figli di un genitore depresso hanno una probabilità quattro volte superiore alla norma di soffrire di disturbi dell’affettività.

Scarsa autostima. La stima di sé si forma proprio nell’età adolescenziale e nasce dal giudizio su di sé che il bambino percepisce da parte dei genitori, coetanei e insegnanti

Scarse abilità sociali.

La scuola rappresenta una palestra fondamentale per l’acquisizione di competenze sociali ed emotive che possono risultare protettive nei confronti della psicopatologia e soprattutto dei disturbi depressivi in bambini e adolescenti. Ma, contemporaneamente può anche essere il luogo il cui il bambino e il ragazzo sperimenta degli eventi negativi che possono influire sulla sua autostima e sul concetto di sé. Bambini di 5-9 anni che percepiscono una disistima da parte dell’insegnante e che non si sentono accettati dai propri compagni hanno elevate probabilità di presentate disturbi depressivi in adolescenza (5-7). E’ molto probabile che bambini che a 8 anni sono vittime di bullismo o di altre forme di vittimizzazione a 9 anni sviluppino sintomi depressivi, soprattutto se femmine (8). Programmi scolastici volti a promuovere le competenze emotive e sociali possono prevenire il rischio di depressione in bambini e adolescenti.

Già negli anni 70-80 numerosi programmi di tal genere sono stati sperimentati negli Stati Uniti e in Inghilterra (9).Snow e coll. nel 1987 (10) hanno rilevato risultati postivi a seguito di un programma in cui i ragazzi erano formati nella gestione dello stress fornendo loro le competenze per utilizzare la rete sociale nei momenti difficili, nella presa di decisioni, nella comprensione delle dinamiche di gruppo. Contemporaneamente erano state potenziate le competenze educative dei genitori.Shelking e coll, sempre nel 1987 (11) hanno insegnato a bambini e docenti le tecniche del problem solving e promosso una maggiore partecipazione dei genitori alla vita scolastica.Interessante è il programma effettuato da Solomon e coll. nel 1986 (12), articolato in 5 settori:

Attività di aiuto. I bambini vengono incoraggiati a sostenere i compagni sia nei momenti di difficoltà che nei lavori scolastici.

Chiarificazione dei valori prosociali. I docenti spiegano quali siano i fondamentali valori prosociali e ne discutono con gli alunni. Rinforzano, non appena si verificano, i comportamenti spontanei adeguati.

Promozione della comprensione sociale. Vengono lette storie, a cui seguono discussioni di gruppo, in cui si esplorano le motivazioni, i sentimenti e i bisogni dei vari personaggi. Per sviluppare sentimenti di solidarietà e promuovere il riconoscimento del valore della diversità, vengono usate storie i cui protagonisti sono di cultura, età, sesso diversi. Si attuano discussioni sui vari eventi che si svolgono in classe.

Sviluppo della disciplina. Attraverso uno stile educativo democratico, gli insegnanti stimolano lo sviluppo di un’autodisciplina fondata sull’individuazione collettiva di regole di comportamento e sull’impegno comune nel rispetto delle stesse.

Apprendimento cooperativo. Si adotta il lavoro di gruppo sia per le attività scolastiche che sociali. Gli insegnanti fanno riflettere i ragazzi sulla necessità dell’interdipendenza, sull’opportunità di capire e considerare sia il proprio comportamento che quello degli altri, sulle funzioni da raggiungere all’interno del gruppo per un buon raggiungimento dell’obiettivo.

I ragazzi che avevano partecipato al programma si sono rivelati più autonomi, più capaci di prendere decisioni, di comprendere i problemi interpersonali comuni e di risolverli. Più di recente altri programmi, con obiettivi più specifici, hanno dato risultati positivi. In Scandinavia è stato attuato, nel 1994, un programma finalizzato alla riduzione del bullismo nella scuola (13)Negli Stati Uniti due programmi, nel 1992 e 1988 hanno avuto come obiettivo la prevenzione dei comportamenti antisociali (14) e l’aiuto ai bambini socialmente svantaggiati (15). Dal momento che la possibilità di prevenire l’insorgenza di tale disagio in un’età così delicata può avere influenza sul benessere dell’individuo nell’intero corso della vita è fondamentale che la scuola si interroghi sul suo ruolo in tal senso. “Poiché a moltissimi giovani il contesto sociale non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi. Questo non significa che esse da sole possano sostituire istituzioni sociali prossime al collasso. Ma poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola, almeno all’inizio, la scuola è un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti non potrebbe mai ricevere” (16).

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Il pensiero punitivo

Nella evoluzione di un malessere e/o di un disagio rispetto alla propria situazione di salute possono scattare alcuni procedimenti psicosomatici,terribili e sconvolgenti, che vorrei brevemente illustrare. Nella mia esperienza di psicoterapia dinamica,ormai quasi trentennale, ho potuto osservare il seguente sviluppo inerente quel che chiamiamo ”la deriva nella malattia”.

A seguito di una situazione conflittuale che il paziente non riesce a dominare, ad es.litigi con il partner, ,conflitti con i genitori ,discussioni infinite con i figli, può scattare un meccanismo automatico atto a procurare un sufficiente livello di “soddisfazione”(ved.più avanti) nel senso di rivalsa, per queste due seguenti motivazioni:

  1. accettare di soffrire e di ammalarsi, per inconsci sensi di colpa,cioè per punirsi,e quindi lasciarsi macerare nella sofferenza,indirizzando unicamente verso se stessi, la dinamica distruttiva.
  2. accettare di soffrire e di ammalarsi, per punire l’esponente “affettivo” più prossimo(genitori,figli,parenti,partners)indirizzando verso l’esterno, le ragioni della propria dinamica distruttiva.

Accettare di soffrire e di ammalarsi, per inconsci sensi colpa,cioè per punirsi. Il dolore è un eccellente “rimedio” alla sensazione di colpevolezza,al ricordo spiacevole di situazioni in cui si è stati trasgressori e si è violato un divieto od una proibizione.

Pertanto il rifugio nella sofferenza diventa una espiazione lenta e continua, nel ricordo costante dell’occasione in cui ci siamo sentiti colpevoli; e nello stesso tempo un impedimento a lasciarsi andare ed a vivere le sensazioni del presente in piena maturità e consapevolezza.

Siccome il senso di colpa è il più delle volte inconscio,e ciò rende impossibile esplicitarlo, e quindi portarlo alla luce,affrontarlo e neutralizzarlo(così come accade sovente,o di regola,in psicoterapia dinamica),allora il tormento che ne deriva, per essere placato,ed anche per dare a noi stessi una “giustificazione” logica ed accettabile,finisce con l’assumere i contorni di una vera e propria malattia.

Come sappiamo,lo stress imita le patologie,riproducendone dolori e correlazioni fisiologiche .Le diagnosi però sono il più delle volte incerte :e ciò perchè il corpo si ribella ed il danno viene più o meno tenuto sotto controllo (tendenza all’omeostasi).

Col tempo però,soprattutto quando non vi sono sfoghi adeguati o le cause psicologiche sono preponderanti, lo stress arriva al punto da creare le malattie , anche con lesioni d’organo e quant’altro attiene alla sua “perfetta” evoluzione. Nella specie,il senso di colpa,con l’usura continua che ne deriva ,produce lentamente uno stato costante di agitazione,di insoddisfazione e di infelicità,fino ad arrivare al salto sul corpo e quindi, minando il sistema immunitario, procura come detto disfunzioni e poi lesioni .

La progressione allora potremmo, rozzamente, descriverla così: senso di colpa-stress-tendenza all’omeostasi-senso di colpa-stress-tendenza all’omeostasi-senso di colpa-stress……..malattia in cui la progressione invece ,virtuosa, dovrebbe essere: senso di colpa-stress-tendenza all’omeostasi-individuazione della fonte dello stress-individuazione del senso di colpa-interventi riparatori del soggetto stesso o con aiuto psicoterapico-tendenza all’omeostasirisoluzione.

Di conseguenza, se non intervengono fattori esterni,di varia natura,che possano modificare il naturale svolgimento dei fatti così illustrati, il senso di colpa porta inevitabilmente un bagaglio di sofferenze prima, e di malattia dopo. Ciò è quanto può interpretare il terapeuta nella storia del paziente.

Il soggetto è però generalmente all’oscuro di questi meccanismi,sia perché il senso di colpa,come detto,è spesso inconsapevole,sia perché è a livello inconscio che si sviluppa l’intero procedimento. Accettare di soffrire e di ammalarsi, per punire l’esponente “affettivo” più prossimo.

Questo aspetto è il meno studiato dei due, perché sembrerebbe improponibile in termini teorici e pratici,in quanto cozza con tutti i criteri di buon senso,di corretta evoluzione,e di gestione dell’omeostasi: anche qui si segue la strada della “soddisfazione”.

Ma vediamo come. Se nella nostra vita c’è un elemento ostativo che ci impedisce di raggiungere gli equilibri che vorremmo: genitori che ostacolano le nostre naturali aspirazioni e quindi gli ostacoli educativi sono ritenuti eccessivi e fuori luogo, partners che allargano a dismisura la loro personalità costringendoci al soffocamento ed alla repressione, figli da cui dipendiamo che vorrebbero imbalsamarci ed immobilizzarci in un ruolo senza libertà e senza individualità, parenti con cui vi è una relazione di dipendenza e che vorrebbero chiuderci in un rapporto coercitivo e soffocante, amici con cui si è instaurato un rapporto strettissimo e quasi parentale, e che però ugualmente non ci aiutano a realizzarci come vorremmo, allora la strada migliore per ottenere compiacimento e profondo piacere nel creare un dispiacere, rimane quella di ammalarsi.

La nostra sofferenza infatti può essere causa di un grande sconforto in chi ci è vicino.

Può ostacolare i suoi passi,inceppare meccanismi progettuali, far riflettere sulla nostra indispensabilità,inserire un sottile rimorso,far provare insomma,in modo indiretto e subdolo tutto ciò che può avvicinarsi ad una vera e propria punizione. Nelle situazioni che sono state brevemente illustrate,sembra infatti che il soggetto non abbia arma alcuna per contrastare una condizione,che per i legami affettivi esistenti, non presenta nessuna via d’uscita. E quindi infinite discussioni,ripicche, umiliazioni,prostrazioni, violenze psicologiche e/o fisiche,proibizioni,coercizioni,costituisco no il terreno di coltura dove poi prolifereranno i sentimenti di odio che porteranno all’unica tattica possibile(laddove sia risultato impensabile o impossibile affrontare in modo risolutivo l’interlocutore ed affrancarsene, rendendosene liberi):la propria sofferenza.

Se apparentemente risulta logico rivolgere contro se stessi,per il senso di colpa, i meccanismi del dolore e dell’espiazione,e di ciò vi è ormai un’ampia letteratura scientifica oltre che, parallelamente, anche una vasta esemplificazione di narrativa e di teatro, dai tempi di Omero fino ai giorni nostri, diventa pressoché complicato poter accettare che si imbocchi la strada di un proprio travaglio,magari che faccia macerare fino alla tragedia,solo per ”punire” chi ci sta vicino.

Ma forse a questo punto abbiamo bisogno di un supporto autorevole.

L’antefatto Freudiano:Il principio di piacere ed il principio di realtà Secondo Freud(1911), alla base dei fenomeni psichici vi é un principio economico, che egli definisce principio del piacere che ha la funzione di evitare il dispiacere e il dolore, e di provocare, invece, il piacere, connesso alla riduzione al minimo della tensione energetica . A questo scopo provvede tale principio , scaricando la tensione e, quindi, ripristinando uno stato di equilibrio, mediante l’appagamento del desiderio, ma ciò avviene per via allucinatoria, grazie a soddisfazioni sostitutive rispetto a quelle reali.

Questa situazione non può che generare frustrazione, in modo che viene a strutturarsi, stando a Freud, un secondo principio, che tenta di assumere una funzione regolativa rispetto al principio del piacere: si tratta del principio di realtà , che non tenta più il soddisfacimento tramite scorciatoie e forme sostitutive, ma segue le condizioni date dalla realtà, anche se questa si può presentare sgradita.

Il principio del piacere tende ad ottenere tutto immediatamente, mentre il principio di realtà può differire quella esigenza in vista di un’eventuale meta, più sicura e meno illusoria; nella evoluzione, quest’ultimo provoca una serie di adattamenti dell’apparato psichico, conducendo allo sviluppo e al potenziamento di funzioni coscienti come l’attenzione, la memoria, il giudizio e il pensiero.

Questo non vuol dire che il principio del piacere scompaia del tutto; esso prosegue nell’operare e nell’estrinsecarsi, specialmente nelle circostanze in cui diminuisce la dipendenza verso la realtà, come appunto nei sogni, nelle fantasie e, in una certa misura, nelle produzioni artistiche.

Questo dualismo di princìpi, costruito in analogia alla fisica, come distribuzione e circolazione energetica, viene però in un secondo tempo modificato da Freud; nel 1920, infatti, egli pubblica Al di là del principio del piacere, dove accanto alle pulsioni sessuali, riconosce l’esistenza di una pulsione antagonistica, la pulsione di morte , cioè una tendenza distruttiva inerente la vita stessa.

In quest’opera egli tratteggiò una concezione dualistica e antagonistica delle pulsioni fondamentali che animano la vita dell’uomo: alle pulsioni legate al principio di piacere (che comprendono le pulsioni sessuali e le pulsioni di autoconservazione) Freud affiancò infatti le pulsioni di morte, le cui manifestazioni hanno il carattere della distruttività e la cui meta è far regredire l’organismo individuale a uno stato inorganico.

Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l’interno, esse tendono all’autodistruzione, ma poi possono essere dirette anche verso l’esterno, assumendo così la forma di pulsioni di aggressione e di distruzione.

Nella realtà psichica le pulsioni si presentano sempre come ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza di questi due princìpi di vita e di morte: anche la sessualità presenterebbe dunque questa ambivalenza sotto forma di amore e di aggressività.

Come abbiamo visto,secondo Freud esisterebbero due ”motori” fondamentali, detti di piacere e di realtà, che producono energia per indirizzare i nostri comportamenti:l’uno tende alla soddisfazione di un desiderio,costi quel che costi,come per le azioni compulsive(lo shopping,le varie tossicodipendenze,i raptus,la sessualità esasperata),l’altro invece si procura di mediare le esigenze improvvise ed irrefrenabili con l’esame attento dell’ambiente,lo studio delle situazioni e l’aiuto dell’esperienza. La mia pratica professionale allora mi ha portato a considerare che,laddove non esistano altri sistemi per averla vinta su qualcuno intorno a noi che ci limita,la “migliore” strategia possibile (come da principio del piacere)è procurargli un grande dolore,con la nostra sofferenza.La quale può arrivare addirittura,con incredibile sprezzo della vita e della sopravvivenza,fino all’annientamento della persona, cioè usque ad mortem.

Ciò che Freud chiamava pulsione di morte.

E’ come avere una sorta di pensiero punitivo,che organizza le nostre energie non già secondo i criteri conosciuti dell’evoluzione,e cioè ad immagazzinare dati per costruire strategie atte a migliorare la nostra esistenza,come in tutto l’universo vivente noto,ma per perseguire un disegno perverso dove lo strumento tattico per annientare l’avversario,per levargli gioie e serenità,per creargli incubi e disperazione,è un fattore apparentemente inconcepibile:la nostra malattia.

Va da sé che questo ”pensiero“può arrivare sino a gravi conseguenze,anche perché quando si innesca un meccanismo che comporta il coinvolgimento di strutture solide ma delicate,come il sistema immunitario,il gioco può diventare incontrollabile e quindi irreversibile.

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