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Il centro benessere

Purtroppo il ritmo frenetico che la vita ci impone oggi, minaccia il nostro equilibrio e la nostra armonia, riducendo drasticamente i momenti di relax.

Ma fortunatamente la nostra attenzione si volge sempre di più verso una migliore qualità della vita. E per dare una risposta a queste esigenze crescono sempre più “Centri del Benessere”.

Luoghi ideati per chi sente la necessità di dedicare il proprio tempo libero alla cura del proprio benessere.

I nostri progenitori, gli antichi Romani, edificarono le prime Terme, sfruttando e beneficiando dell’enorme patrimonio idrico di cui disponiamo ancora tutt’ora! Erano un luogo di ritrovo sociale e ubi thermae ibi salus. E anche i Greci, ai tempi di Ippocrate, padre della Medicina riconoscevano all’acqua proprietà terapeutiche.

Ancora oggi le acque termali esercitano su di noi un certo fascino!

Cos’è l’Acqua per noi? Senza dubbio ci lega ad essa un legame molto profondo che ci riporta indietro nel tempo: alle origini della vita terrestre e al grembo materno.

Il cercare l’acqua assume così una forte valenza simbolica nel nostro vissuto: è come tornare alle proprie origini. L’immergersi in una vasca d’acqua richiama alla gravidanza e alla nascita, quando la mamma ci accudiva e proteggeva. Entrando in acqua ci immergiamo in una dimensione diversa, in una sorta di grande abbraccio che ci avvolge e al quale ci affidiamo.

Secondo gli psicoanalisti l’acqua simboleggia in primo luogo l’inconscio: “come il mondo è emerso dall’abisso delle acque così la vita cosciente del bambino è uscita dalle acque materne (liquido amniotico).”

Il rapporto curativo, dunque protettivo all’interno delle vasche o in appositi luoghi terapeutici, con l’acqua può essere visto come quel complesso rapporto tra l’Io e l’inconscio. Può, quindi, essere la ricerca di se stesso, delle proprie origini e della sua più profonda identità che spinge l’uomo alla ricerca della comune acqua come mezzo privilegiato per curarsi, secondo modalità naturali, dalle affezioni organiche ai disturbi comportamentali.

Tuttavia, anche solo guardando la tendenza turistica ad avvicinarsi e frequentare sempre più assiduamente questi centri, emerge la consapevolezza dell’efficacia terapeutica delle acque termali, per eliminare o ridurre danni alla propria salute.

Indipendentemente dalle potenzialità intrinseche dell’acqua è la persona stessa che ne usufruisce dandole un senso, scientifico o affettivo che sia. Così, come per ogni tipo di terapia è necessario che il paziente sia convinto di ciò che fa, affinché tale terapia possa operare nel migliore dei modi.

Ormai si sta diffondendo e acquisendo una certa consapevolezza che conditio sine qua non di un vero benessere è il giusto equilibrio tra corpo e mente: frutto di conoscenza di se’, delle proprie risorse e potenzialità e di cura del proprio corpo attraverso lo sport, la sana alimentazione…

Negli attuali centri del benessere oltre alle più classiche terapie e trattamenti, ritroviamo l’esperienza di operatori specializzati in approcci olistico, rivolti al raggiungimento di un equilibrio psicofisico dei pazienti.

Le persone vanno alle terme per una “purificazione” personale; tale purificazione sarebbe poco efficace se non comprendesse anche l’aspetto cognitivo-mentale e comportamentale, più specificatamente di competenza psicologica.

Perché non inserire in questi centri, accanto ai medici, uno Psicologo del Benessere?

La miglior acqua minerale, e i migliore psicofarmaci, pur con le loro specifiche e riconosciute proprietà terapeutiche, non insegnano nulla a chi non sa come affrontare problemi e difficoltà; non modifica i pensieri disfunzionali che fanno star male!

Il compito dello Psicologo del Benessere sarà quello di sviluppare le risorse psicologiche e le caratteristiche personali del paziente, migliorandone così la qualità della vita.

Farà acquisire nuove strategie comportamentali, insegnando tecniche e strategie psichiche e autoterapiche, tecniche di rilassamento, che potranno poi essere utilizzate nella pratica quotidiana.

La meta generale è aiutare l’individuo a vedere in se stesso, e promuovere uno stato psichico di soddisfazione e realizzazione. Per iniziare basta avere un atteggiamento più attento verso se stessi: l’individuo in tal modo diviene “protagonista di se stesso”.

Lo Psicologo in questi centri offrirà un intervento di counseling, cioè una serie di colloqui di assistenza psicologica, le cui tecniche mireranno a focalizzare i punti problematici e a potenziare quei comportamenti funzionali al benessere del soggetto, promuovendone l’applicazione effettiva allo star bene.

Ovviamente, nel caso in cui venga diagnosticato un conflitto di maggior portata, il paziente sarà indirizzato ad una terapia più adeguata. I moderni centri termali hanno così un’immagine nuova: sono centri capaci di unire salute psico-fisica, bellezza, divertimento, sport e relax.

Il paziente potrà svolgere pratiche sportive, trattamenti estetici (massaggi, lifting, peeling, inalazioni, bendaggi, saune bagni turchi), tecniche rivolte ad un benessere psicofisico esercitato dal potere dell’acqua (balneoterapia, talassoterapia, fangoterapia, rebirthing): tanti nuovi servizi, dinamici e completi, di trattamenti personalizzati di prevenzione, cura e miglioramento psicofisico.

Concediamoci qualche pausa di riflessione! Ognuno di noi dovrebbe auspicare ad una vita in armonia con se stessi e con gli altri. In questa direzione la Psicologia del Benessere rappresenta quella branca della psicologia che pienamente si prefigge la realizzazione di questo tipo di “stare bene”, partendo, ovviamente, da una spinta motivazionale soggettiva!

 

La Relazione fonte di benessere naturale

Nella vita di tutti i giorni, siamo inevitabilmente immersi in una molteplicità di relazioni più o meno importanti che qualificano la nostra giornata, rendendola piacevole o meno senza che ce ne accorgiamo. L’uomo è definito l’essere sociale per eccellenza, nel quale sono racchiuse molteplici sfumature e potenzialità che lo rendono tale rispetto ad altre creature, ovvero gli permettono di relazionarsi con il mondo attraverso qualità proprie innate.

La relazione è definita il legame che unisce due o più persone ed i motivi per cui gli uomini si relazionano sono molteplici, il più probabile è racchiuso nella natura stessa della persona in quanto individuo inducendolo a sviluppare capacità il cui unico scopo è quello di rapportarsi ad altri suoi simili.

E’ nella comunicazione che si apre la relazione, ognuno con la sua identità personale pezzo dopo pezzo in tutti gli scambi di parole e azioni che abbiamo con gli altri esseri umani.

Ma quando la comunicazione è benessere?

Indubbiamente quando è efficace, cioè quando mette in moto relazioni sociali. I significati, le potenzialità ed i valori riescono a trovare uno scambio tra le persone e costruire un clima costruttivo, di crescita e gioia di esserci. In questo senso la visione della Psicologia del Benessere è un approccio globale all’automiglioramento e allo sviluppo del potenziale umano che nel rapporto con gli altri trova la possibilità di esprimersi.

Quindi è attraverso gli altri che attiviamo noi stessi e ci permettiamo di sperimentare quello che siamo, ma sorge una domanda: “Bisogna essere consapevoli della propria capacità relazionale per costruire le relazioni o tale capacità si sviluppa attraverso i rapporti stessi?”. In effetti i rapporti umani si caratterizzano per la loro complessità, per la natura di scambio che sottende il loro dispiegarsi, ma un punto fondamentale dal quale partire è senz’altro se stessi, la propensione che si ha verso l’autorealizzazione, al vivere positivo ed in armonia con il mondo.

Senza un buon grado di autostima non ci permetteremo mai di avvicinarci serenamente ad una persona, avremo comportamenti impacciati e confusi. Attraverso l’autostima si possono aggiungere piacere e sicurezza, e questo permette di avere relazioni interpersonali più efficaci, aumentando al capacità di comprendere e di ascoltare meglio le proprie esigenze, ma anche quelle delle altre persone. Senz’altro gli altri contribuiscono ad accrescere la percezione che abbiamo di noi, ci forniscono feedback continui che aiutano a crescere.

Quali sono i mezzi e gli strumenti di cui ci serviamo per comunicare? Il linguaggio nelle sue più vaste espressioni esprime la nostra persona anche senza esserne consapevoli: oltre alla comunicazione verbale costituita dalla “parola” esiste una comunicazione non-verbale che si esprime attraverso la gestualità e la postura del corpo. Inoltre si possono individuare differenti livelli di comunicazione. Il primo è di carattere descrittivo, una azione assimilabile a quella del bambino che descrive la realtà che scopre intorno a sé. Il secondo livello di comunicazione riguarda l’espressione delle emozioni. Infine il terzo livello di comunicazione riguarda la creazione e l’alimentazione di legami e rapporti tra le persone, sia in positivo, con l’acquisizione di un livello di conoscenza o amicizia, sia in negativo nei conflitti e negli scontri relazionali.

 

Esistono delle “regole” per una comunicazione efficace e si possono imparare, proprio come si impara a leggere, sono degli spunti che vengono offerti per comprendere cosa in noi impedisce di avere buone relazioni, ciò si può ricercare nella timidezza, senso di inferiorità, insicurezza, eccessiva sensibilità, paura di sbagliare , paura di essere giudicati e molte altre componenti.

Perché la relazione è fonte di Benessere? La relazione è un forte veicolo di emozioni e noi viviamo di emozioni le quali definiscono la peculiarità del nostro vissuto.

L’individuo “sente” delle variazioni corporee riferite al corpo nel suo insieme da cui però emerge non l’informazione specifica circa eventi corporei, ma sensazioni soggettive di piacere-dolore. Se questa componente tende a protrarsi nel tempo e a collegarsi con uno stimolo esterno può comparire il fenomeno dell’affetto. L’emozione rappresenta innanzi tutto un comportamento di risposta che insorge in rapporto a determinati stimoli prodotti dall’altro.

Le emozioni rappresentano anche una condizione di relativa instabilità omeostatica. E’ la risposta individuale per ristabilire l’equilibrio omeostatico modificato dall’incontro con l’altro e sono, dei modulatori del comportamento.

Un processo di selezione della specie durato milioni di anni ci ha costruito un cervello specializzato nel raccogliere i segnali sociali. E il nostro benessere psicologico dipende dalla qualità dei nostri rapporti con gli altri. Non a caso la peggiore punizione che si può infliggere a un bimbo è il castigo in camera e a un adulto la detenzione in carcere: entrambe colpiscono il bisogno di compagnia.

La dimensione soggettiva è allora al primo posto, quale unico modo per relazionarsi al mondo. La Psicologia del Benessere è focalizzata su questa dimensione, oggi spesso negata ma che ha grande necessità di essere maggiormente sviluppata. Nel mondo di oggi si tende ad annullare questa dimensione: l’uomo non sente l’interesse per gli altri, ma si prodiga al raggiungimento di propri progetti e di propri scopi. I valori umani come rispetto, solidarietà e onestà sono passati in secondo piano, soppiantati da egoismo e individualismo. Attraverso invece la riscoperta della propria dimensione naturale la Psicologia del Benessere riscopre l’individuo nella sua bellezza, le risorse personali spesso abbandonate generando così sentimenti di insoddisfazione e depressione.

Gioire degli altri significa offrire spazio dentro di sé non più a se stessi ma anche al mondo che ci circonda. E’ l’antitodo alla solitudine e alla chiusura che ognuno, almeno una volta nella vita ha sperimentato. Si può generare un circolo vizioso in cui le difficoltà che ci impediscono di relazionarci si auto rinforzano generando ancor più una condizione di isolamento e si tende così a vivere sempre più una condizione di annichilimento verso il mondo esterno.

I dati statistici possono confermare che oggi la solitudine è uno dei nostri maggiori nemici ed influisce notevolmente sul nostro sistema immunitario, chi è solo raddoppia o triplica la probabilità di una morte precoce, conducendo una vita grigia senza gioie, con una pigrizia psicologica che giorno dopo giorno prende il sopravvento. Ma questa paura degli altri porta spesso a comportamenti sempre più anti-sociali che produco spesso l’effetto di allontanare le persone da sé. In molti casi i rapporti sociali operano notevoli effetti positivi sulla salute ed evita di ricorrere ai farmaci.

Nella reazione possiamo gioire, sentire l’armonia con l’esterno e l’amorevolezza che ognuno porta nell’anima ha la possibilità di esprimersi. E’ inevitabile acquisire maggiore positività verso la vita quando diamo spazio a chi siamo. Così la positività, come la negatività si auto rinforza generando sentimenti sempre più positivi e dandoci la certezza che le cose intorno a noi possono cambiare se lo volgiamo anche se questo richiede un piccolo sforzo. Il benessere che viene sperimentato allora è proprio questo stato di apertura all’altro che ci tranquillizza e non ci fa sentire soli. L’attenzione della Psicologia del Benessere è basata proprio su insegnamenti che traggono la loro origine dalle antiche tradizioni di saggezza. Può essere definito come un metodo di auto miglioramento, ma anche qualcosa di più, è un processo di crescita che si muove in armonia con i ritmi evolutivi della natura. Aiuta cioè ogni persona a costruire, in modo autonomo, una personalità che si ponga verso il mondo in modo positivo e costruttivo insegnando che si può trarre gioia dalla vita se lo vogliamo veramente.

E’ solo attraverso il “fenomeno della relazione, quindi comunicazione” che possiamo sperimentare le differenti emozioni di cui siamo capaci. Cerchiamo nella relazione ciò di cui abbiamo bisogno: che può essere un amico con cui confidarsi o qualcuno con cui condividere le nostre esperienze. Inoltre, impariamo a camminare per la strada a testa alta guardando le persone e sentendoci immersi nella moltitudine che abita il mondo. I livelli di relazione possono essere molto diversi e si può agire ad ogni livello: dall’incontro occasionale alla persona a noi più vicino ma entrambe fanno sentire di esserci.

 

Graffiti e tag: forma d’arte o disagio giovanile?

Volendo analizzare i retroscena psicologici del fenomeno in crescita dei writers, bisogna fare una precisazione tra graffiti e tag: i primi sono una forma di espressione artistica per mezzo immagini più o meno complesse, mentre le seconde sono segni o firme velocemente eseguiti con un colpo di spray.

Ogni ragazza o ragazzo che entra a far parte del popolo degli disegnatori-scrittori assume un nuovo nome proprio e un suo alfabeto che lo distinguono dagli altri. Omologazione e differenziazione sono processi alla base dell’ inclusione in un gruppo di writers (detto crew): si rinasce con un altro nome, con peculiarità che vengono trasmesse sui muri, metro, treni ecc… La parete diviene lo specchio della propria identità in divenire, del fluire dei propri pensieri, un mezzo che include e racconta.

Ma è solo questo?

Non sempre chi scrive sui muri è un writers, non tutti ne fanno parte. Far parte di una crew non è così facile e scontato. Bisogna avere delle caratteristiche coerenti con quelle degli altri membri del gruppo; particolarità non solo fisiche, ma anche culturali e sociali.

Chi appone le firme su muri appena dipinti, su negozi o palazzidà segno di inciviltà e spesso non merita la stima dei veri artisti dell’aerosol, ovvero coloro che disegnano i muri con le bombolette . In tal caso la scritta è espressione di vacuità, di qualcuno che non ha niente di meglio da fare e, se ciò accade ad un giovane, rappresenta un segnale molto triste di un disagio personale che, se si estende, può diventare disagio sociale.

Una forma di comunicazione personale che rappresenta un gesto di autoaffermazione e trasgressione nello stesso tempo.

Sulla valenza comunicativa dei graffiti, e degli slogan che spesso li accompagnano molti semiotici e studiosi di comunicazione sono d’accordo ma allora dove si collocano i tag? 

Lasciare la propria firma è un modo per dire io esisto, sono passato di qui e ho lasciato un segno che mi farà ricordare e riconoscere con la mia nuova identità. Una inequivocabile richiesta d’attenzione in una società troppo affollata e distratta.

A questo fenomeno si aggiungono i “poeti dei muri”, cioè coloro che scrivono frasi d’amore sotto le case delle innamorate o nei luoghi comuni per la loro “banda”.

Questo tipo di espressione scaturisce probabilmente da una dirompente voglia di gridare al mondo i propri sentimenti, per scaricare le proprie sensazioni e paure o per vincere la timidezza di dire le stesse cose faccia a faccia.

Un’ urgenza comunicativa, spesso intima e focalizzata su una sola persona, che non può e non vuole aspettare lettera, telefonata, e.mail, sms, mms – nient’altro.

Le “voci” che “gridano” sui muri possono nascere da un’esigenza estetica, oppure dal mero bisogno psicologico di mettersi in mostra, di delimitare il territorio o di far vedere al mondo che “io ci sono e posso”.

La sostanziale differenza sta nel fine: i “veri “writers non sono teppisti e cercano l’abbellimento estetico di zone degradate , o la comunicazione di messaggi di protesta; i “poeti dei muri” non si curano della bellezza del prodotto, perché, la loro è solo una forma di comunicazione fine a se stessa; l’espressione di un bisogno di lasciare traccia di se.

Questo, sottolinea l’aspetto egocentrico dello “scarabocchiare” sui muri.

Si può scrivere sui muri per tanti motivi diversi: per alleviare tensioni, per raccontarsi , per sfidare l’illegalità. Non c’è dubbio che nei tag e nelle scritte sulle pareti ci sia un segnale di disagio e difficoltà nell’espressione attraverso mezzi canonici di comunicazione.

Nelle scritte scaturisce la necessità interiore di raccontarsi, di manifestarsi, di esteriorizzare la storia che scorre lungo i fiumi dell’interiorità.

Attraverso spray e bombolette si esteriorizzano stati d’animo come la rabbia, la confusione, la trasgressione, ma anche la felicità e l’amore (corrisposto o no).

Gli esperti la chiamano comunicazione povere urbana. Povera perché di limitata qualità e contenuti: le frasi perdono il valore di ribellione che potevano avere in tempi di protesta.

Non sono più “pasquinate” , ne slogan che hanno un significato connotato politicamente e/o socialmente, sono solo sfoghi impulsivi e spesso incomprensibili.

Eppure qualcosa queste scritte ci dicono: ci segnalano la volontà dell’autore di raccontare parte dei propri vissuti, di lasciare che sia una superficie a mostrare i suoi sentimenti.

Forse la società è troppo presa dal suo veloce mutare per accorgersi dei singoli e di loro stati d’animo. I ragazzi sentono il bisogno di esprimersi, farsi notare, sfogare le proprie paure e insicurezze. Vogliono poter far parte di una comunità, di un gruppo che li protegge e gli dà la possibilità di sentirsi qualcun altro: un nuovo nome è come una nuova identità. Un’identità più matura, di uomo e non ragazzino.

Per di più nasce il bisogno di emulare chi già scrive sui muri per sentirsi più importanti e mostrarsi al mondo diversi: non più bambini.

La transizione dall’adolescenza all’età adulta è lunga e difficile e spesso i ragazzi hanno l’impressione che nessuno li ascolti, e li capisca.

Nel periodo dello sviluppo della propria identità si inizia a sentire l’esigenza di riflettere sull’immagine di sé, e a volerla comunicare agli altri.

Tanti sono gli ambiti in cui questa maturazione avviene: vi è l’ambito familiare innanzitutto; quello scolastico e del gruppo spontaneo; le strutture per adolescenti e non. Tutte queste occasioni di socializzazione e crescita individuale hanno però un elemento in comune, un elemento fondamentale per lo sviluppo della persona: il gruppo.

In questo periodo, le figure genitoriali, e in genere quelle adulte, non bastano più, e si ha bisogno di termini di paragone simili al proprio. Inizia così il desiderio di essere accettati (bisogno di affiliazione) e di conformarsi alla propria comitiva di riferimento (bisogno di appartenenza).

E’proprio durante l’adolescenza che i coetanei diventano il più importante oggetto di confronto sociale e rappresentano un riferimento normativo e comparativo per valutare in modo autonomo, al di fuori del controllo degli adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte, quindi costituiscono un supporto sociale per affrontare i problemi connessi alla crescita.

Nel periodo adolescenziale è l’amicizia, e il consenso dei coetanei, ad essere fondamentale; normale è quindi la ricerca da parte dell’adolescente di una crew acui appartenere e da cui sentirsi protetto e spalleggiato.

Il gruppo dei pari è come un “laboratorio di sperimentazione sociale”, è un vero e proprio strumento di sostegno affettivo ed emotivo, che è in grado di incidere nella costruzione della reputazione e visibilità sociale da parte dell’adolescente. E’ tale l’esigenza di una valutazione in positivo, da parte del gruppo di coetanei a cui si vuole appartenere, che spesso la preoccupazione fondamentale da parte dell’adolescente si trasforma, dall’ansia di scoprire chi si è, a quella di scoprire chi si deve essere, per far parte della ristretta cerchia di “eletti” del suddetto gruppo.

L’imitazione nasce da questa necessità di essere parte di un nucleo in cui sentirsi a proprio agio: liberi di esprimersi senza essere giudicati.

Il gruppo è un microcosmo dove “fare le prove generali” per sperimentare la propria indipendenza dagli adulti, e capire chi si è.In questo processo gli adulti hanno un ruolo molto delicato: devono riuscire a seguire la crescita dei propri figli rendendosi disponibili al dialogo , alla comunicazione bidirezionale ealla pari.

Le scritte sui muri, se non sono concepite come forme artistiche, possono essere espressione di un disagio, un vissuto troppo forte per essere fatto tacere. Sarebbe meglio poterne parlare invece di dover comunicarlo su una parete.

 

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