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Come costruire il benessere per i nostri figli

Il benessere dei nostri figli dipende da noi. Non solo il loro benessere attuale, cosa che appare ovvia a chi ha dei bambini piccoli, ma anche e soprattutto la loro capacità di raggiungere e mantenere il benessere nell’età adulta. I nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti nei loro confronti possono influire sulla strutturazione di un adeguato senso di sé, sulla loro autostima, sulla loro capacità di creare e mantenere relazioni mature e soddisfacenti.

Anche se man mano che crescono i figli tendono a frequentare un maggior numero di contesti diversi da quelli della famiglia di origine, nondimeno i rapporti con i familiari di solito continuano ad essere molto numerosi e soprattutto molto significativi. Sono diversi gli aspetti a cui dobbiamo prestare attenzione per creare una buona atmosfera familiare che permetta ai nostri figli di crescere sereni e sicuri di sé: la modalità di controllo, il tono affettivo, il rispetto, la comunicazione, l’interazione e relazione, la vivacità intellettiva, il nostro stile genitoriale.

In una famiglia è normale e necessario che ci sia una qualche forma di controllo da parte dei genitori sui figli (anche i figli, tuttavia, tendono a controllare i genitori o a controllarsi a vicenda tra di loro). Per esercitare
nel miglior modo possibile il controllo sui nostri figli ricordiamoci di:

· Essere sempre chiari e coerenti. I figli hanno bisogno di sapere cosa aspettarsi come conseguenza dei loro comportamenti. Ciò non significa che i genitori non possano mai cambiare idea. La cosa importante
è che i figli provino un senso di certezza e di prevedibilità. In questo modo cresceranno più sicuri di sé, meno ansiosi e anche meno ribelli e aggressivi.

· Motivare i comandi. In questo modo coinvolgiamo i figli, li facciamo sentire uniti e partecipi della vita familiare e, infine, otteniamo da loro di più di quanto otterremmo usando dei modi imperativi. Inoltre,
i modi imperativi presentano il problema che i figli li imitano e imparano ad essere aggressivi.

· Porre delle restrizioni ragionevoli. I figli soffrono sia le restrizioni eccessive che la permissività. I ragazzi con facoltà di manovra limitata tendono alla timidezza e sembra che il loro Q.I. sia più basso, probabilmente perché hanno meno opportunità di fare esperienza e di mettersi alla prova.

D’altra parte, quando i genitori lasciano correre troppo (per diversi motivi, tra cui la convinzione che porre delle regole non sia utile alla crescita dei figli), i figli diventano poco rispettosi degli altri, incapaci di adattarsi e soprattutto poco motivati al successo.

· Fidarci dei nostri figli. E’ fondamentale una fiducia di fondo, accompagnata da caute indagini fatte chiedendo direttamente ai figli, in maniera tranquilla.

· Nutrire aspettative sufficientemente alte. I bambini e i ragazzi si vedono come si sentono visti dai genitori. Se i genitori hanno delle aspettative basse nei confronti dei figli, questi ultimi pensano di valere poco, e ne risente soprattutto la loro autostima e la motivazione al successo. Delle aspettative troppo alte rischiano invece di produrre un’autostima gonfiata, che influisce negativamente sul successo reale e l’inserimento sociale.

· Aiutare con discrezione. Quando i figli sono in difficoltà, è utile fornire loro indicazioni il più possibile generiche, in modo che arrivino da soli alla soluzione, altrimenti possiamo diminuire il loro senso di efficienza. E’ importante aiutarli.

Se non lo facciamo, i figli possono sentirsi abbandonati, combattuti tra il desiderio di tener fede agli impegni e l’impressione di non farcela, si demotivano e a lungo andare ne risente l’autostima.

· Porre attenzione ai rinforzi. Non sempre è facile capire quando stiamo rinforzando un comportamento, spesso ciò avviene senza che ce ne rendiamo conto. Ad esempio, entrare in una stanza per richiamare un bambino che sta facendo chiasso può rinforzare quel comportamento, in quanto l’attenzione ottenuta in questo modo costituisce una gratificazione.

Concedere qualcosa ad un figlio nel momento in cui diventa particolarmente rabbioso ha l’effetto immediato di calmarlo ma anche quello di far aumentare la frequenza di tale comportamento, in quanto al bambino sembra che esso si sia dimostrato efficace per ottenere quanto desiderava.

Anche quando ricorriamo intenzionalmente ai rinforzi, spesso non siamo in grado di valutarne correttamente gli effetti, perché questi dipendono dall’intreccio di diversi fattori. Ad esempio, la lode rischia di perdere efficacia se arriva troppo spesso; il compenso dato al ragazzo che studia rischia di farlo passare da una motivazione intrinseca ad una estrinseca.

Inoltre, sono anche importanti gli schemi temporali del rinforzo: un rinforzo intermittente è molto più efficace di quello continuo. Assecondare un bambino aggressivo di tanto in tanto rinforza l’aggressività molto di più che se lo accontentassimo tutte le volte.

Per quanto riguarda le punizioni, in linea di massima sono controproducenti. Possono rivelarsi efficaci se tempestive (l’ideale sarebbe che colpissero l’azione sul nascere), inflitte con serenità e lievi, preferibilmente simboliche.

Tuttavia sono sconsigliabili per gli effetti collaterali: i figli imitano i comportamenti dei genitori, per cui si comportano con loro allo stesso modo, e da adulti diventano a loro volta dei genitori che puniscono. Spesso i genitori non riescono a farsi obbedire con le punizioni e perdono credibilità e autorità. Nel figlio può anche maturare un rifiuto del genitore, fino a vederlo come un estraneo.

· Discutere. Una moderata attività persuasiva è benefica, perché produce un coinvolgimento simbolico dei ragazzi, rafforza la visione familiare e li fa sentire considerati per la loro intelligenza e le loro opinioni.
· Legittimare. Le ragioni migliori per giustificare una norma familiare sono quelle realistiche che guardano al futuro, alle mete che ci si prefigge per la famiglia e soprattutto per l’avvenire dei figli. E’ importante che i genitori non si mettano sullo stesso piano dei figli quando questi ultimi sbagliano. I figli hanno bisogno di percepire che i genitori sono responsabili, impegnati a soddisfare le loro esigenze e perseguire il loro bene.

Il tono affettivo della famiglia è importante per la crescita dei figli. Se il tono affettivo è caldo, i genitori sono solleciti e disponibili, non antepongono le loro esigenze a quelle dei figli, stanno volentieri insieme a loro, manifestano affetto.

I figli che crescono in tali famiglie “calde” hanno legami più saldi con i genitori, sono più obbedienti e più attenti ai loro consigli, hanno un’autostima più elevata, vanno meglio a scuola e hanno più successo nella vita. Inoltre tendono a riprodurre il calore: con gli altri sono socievoli, sensibili e altruisti, da grandi saranno genitori affettuosi. E’ importante trasmettere ai figli il rispetto per gli altri. I figli possono rendersi conto di quanto siano importanti
per noi, se vedono che diamo un valore e rispettiamo le persone, in generale. Piccole cose, come il rispetto degli spazi fisici e degli spazi personali, la cortesia, la cura dell’abbigliamento, il linguaggio, danno l’idea che ognuno si limita in funzione degli altri e che le persone contano.

I figli che sono convinti di essere importanti per i genitori crescono meglio: hanno un’autostima più alta, sono più motivati al successo, conquistano più facilmente l’identità nell’adolescenza ed è più difficile che vadano incontro a depressioni.

Quando i bambini sono piccoli è importante la quantità della comunicazione – il numero di scambi, la varietà di segnali, la ricchezza del linguaggio – per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative
e l’intelligenza. Ovviamente, oltre alla quantità è importante la qualità della comunicazione.

Anche se negli anni ’60 gli psicologi hanno insistito sulla coerenza dei messaggi, sottolineando la necessità di evitare comunicazioni ambigue e contraddittorie, attualmente questo punto di vista è superato.

Quando si comunica faccia a faccia, un certo grado di incoerenza nei messaggi è inevitabile. Inoltre per il ricevente l’incoerenza fornisce comunque delle informazioni sul tipo di discorso che si sta facendo. Attenzione, però,
l’incoerenza può fornire delle informazioni utili solo se il figlio ha le capacità cognitive per riconoscerla e darle un senso. Quindi, sforziamoci consapevolmente di “dosare” il grado di incoerenza a seconda dell’età e dello stato d’animo dei nostri figli.

In generale, fino ai cinque anni i bambini non hanno le capacità cognitive per comprendere l’incoerenza dei messaggi, ne rimangono sconcertati; i più grandi, invece, possono trovarsi in difficoltà
quando il coinvolgimento emotivo li fa irrigidire. Data, comunque, l’ineliminabilità dell’incoerenza comunicativa, è bene che i genitori aiutino i figli, già prima dei cinque anni, ad interpretare i messaggi contraddittori.
Un altro aspetto della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo. I figli crescono meglio se c’è confidenza con i genitori e c’è possibilità di raccontarsi quanto accade. Risultano emotivamente più equilibrati, socialmente maturi e si fanno un’immagine più positiva della famiglia. Anche in questo caso, però, è fondamentale la qualità della comunicazione.

Il genitore che si apre al dialogo con figli deve continuare a rivestire il suo ruolo di genitore. L’errore che spesso si fa è di porsi sullo stesso piano, come se si fosse “amici”. In questo caso i figli stanno male, facilmente diventano prepotenti e aggressivi, e in ogni caso avvertono la mancanza di un riferimento autorevole.

Con i bambini piccoli, è importante avere delle interazioni coordinate, in cui ci si muove tenendo conto di quello che sta facendo l’altro e dei segnali che ci manda. Nei primi mesi sono importanti soprattutto le interazioni coordinate basate sul contatto visivo, come la fissazione reciproca e la coorientazione visiva (il bambino guarda da una parte e l’adulto volge lo sguardo verso il punto in cui sta guardando il bambino). Se queste interazioni vanno a buon fine influiscono molto positivamente sullo stabilirsi del legame di attaccamento.

E’ essenziale instaurare relazioni profonde con i propri figli. Se vi si riesce i figli sono più legati ai genitori, obbediscono, hanno il senso della famiglia e della cooperazione. Soprattutto, è importante affrontare e risolvere
i motivi di tensione. In questo modo, confrontandosi e, perché no, arrabbiandosi, si impara a conoscersi meglio, a raggiungere una maggiore intimità e ad acquisire fiducia nella propria capacità di risolvere i conflitti
e i momenti di tensione.

I figli che vivono in un ambiente intellettualmente vivace sono avvantaggiati dal punto di vista dello sviluppo linguistico e cognitivo e forse anche sul piano emotivo e sociale. E’ importante fornire ai bambini, fin da piccoli, un ambiente sufficientemente stimolante, che permetta al piccolo di soddisfare la sua naturale curiosità. Soprattutto, il bambino ha bisogno di persone che gli parlino e che giochino con lui. Tutto questo nel rispetto dei suoi tempi e della sua soglia di tolleranza alla stimolazione.

Man mano che i figli crescono contano anche il clima culturale, le idee di cui si discute, il sapere che ci si tramanda, la disponibilità di libri, riviste, strumenti musicali, etc. Lo stile genitoriale autorevole (i genitori controllano, si aspettano comportamenti maturi, dialogano e sono caldi) si è rivelato il più adatto per la crescita dei figli. I figli di genitori autorevoli hanno un’autostima elevata, sono sicuri di sé, indipendenti, socievoli, altruisti, motivati al successo e di successo. I figli di genitori autoritari, permissivi o indifferenti, invece, soffrono di tale stile educativo, tendono ad essere aggressivi e a mettere in atto comportamenti antisociali.

Riepilogando, per il benessere dai nostri figli, e della nostra famiglia in generale, esercitiamo un controllo ragionevole, manteniamo un tono affettivo caldo, insegniamo il rispetto per gli altri, comunichiamo in modo aperto e insegniamo a comprendere l’incoerenza, lasciamoci guidare nell’interazione dai segnali che i piccoli ci inviano e instauriamo delle relazioni profonde, for-niamo un ambiente intellettualmente vivace e soprattutto non abbiamo paura a mostrarci dei genitori autorevoli.

Raggiungere i nostri obiettivi

Anche se ognuno di noi ritiene di agire per raggiungere uno stato di benessere non sempre è così: il raggiungimento del benessere non è né facile né automatico, richiede uno sforzo mentale consapevole. Spesso, ad esempio, accade che non riusciamo a ottenere ciò che desideriamo e non capiamo bene perché.

Trascorriamo il tempo a rimuginare, a pensare di chi sia la ‘colpa’; avvertiamo uno stato costante di frustrazione e di tensione. Quando ci sentiamo così, è bene lasciare da parte la ricerca del ‘colpevole’ e impegnarsi prima di tutto nell’individuare bene ciò che si desideri, diventarne consapevoli, e agire in maniera studiata e razionale per ottenerlo.

Per individuare bene ciò che desideriamo, la prima domanda da porci è: Che cosa vogliamo? Sembra una domanda banale, a cui ognuno di noi può rispondere senza neanche riflettere: voglio stare bene, voglio un lavoro che mi soddisfi, voglio cambiare partner, voglio che il mio matrimonio funzioni, ecc… Chi di noi non ha mai formulato almeno una volta un proprio desiderio in questi termini? Ebbene, questi sono proprio esempi di formulazione ‘errata’ di un obiettivo. Perché un traguardo sia raggiungibile è necessario che esso sia ben preciso e definito. ‘Un lavoro che mi soddisfi’ è una definizione troppo vaga ed astratta del mio obiettivo per permettermi di raggiungerlo.

Quando pensiamo ad un obiettivo che ci piacerebbe raggiungere è importante che ci sforziamo consapevolmente di immaginare che cosa vedremo, che cosa udiremo, come ci sentiremo, come faremo a riconoscere che abbiamo realizzato e raggiunto l’obiettivo.

Se il mio obiettivo è trovare un lavoro soddisfacente: dove mi vedo collocato nel momento in cui penso ad un lavoro soddisfacente per me? (In un ufficio? Per strada? In macchina? In un teatro?) Che cosa udrò? (Il rumore del computer? Le voci delle persone che mi troverò di fronte? L’applauso del pubblico?) Come mi sentirò? (Concentrato? Predisposto all’ascolto? Eccitato? Calmo e rilassato?) Quando saprò che ho raggiunto l’obiettivo? (Mi hanno assunto a tempo indeterminato in azienda importante? Ho raggiunto il numero di pazienti/clienti che mi ero proposto? Ho avuto la parte che desideravo in quello spettacolo?).

Queste descrizioni in termini di immagini, suoni, sensazioni ci aiutano a pensare all’obiettivo in termini concreti e positivi, in quanto descrivono quello che si vuole sperimentare piuttosto che quello che non si vuole
Tutto ciò non è un mero esercizio di immaginazione. Gli studi svolti nell’ambito della psicologia cognitiva hanno dimostrato che il nostro comportamento e i risultati che conseguiremo dipendono da ciò che abbiamo in mente. La nostra capacità di elaborazione delle informazioni è limitata; non possiamo trattare tutte le informazioni in arrivo, né manipolarle allo stesso tempo in tutti i modi possibili.

Per questo abbiamo bisogno (e spesso lo facciamo automaticamente) di limitare l’accesso solo alle informazioni che riteniamo utili per noi in quel determinato momento, di operare quindi una selezione dei dati disponibili. Nel momento in cui ci sforziamo di descrivere quanto desideriamo raggiungere in termini sensoriali è un po’ come se mettessimo in moto un radar che capti tutto quello che serve: se abbiamo davvero bene in mente quello che vogliamo la nostra attenzione automaticamente selezionerà quegli elementi che possono essere utili al raggiungimento dell’obiettivo. Una volta operata la selezione, i dati raccolti verranno sottoposti ad una elaborazione
che ci permetterà di costruirci una “rappresentazione interna” della realtà esterna.

Questa conoscenza concreta della realtà, sia pure solo come modello mentale, ci serve per sapere come reagire, come comportarci per influenzare o modificare tale realtà in maniera da soddisfare i nostri bisogni. Infatti, su tale rappresentazione possiamo mettere in atto varie operazioni finalizzate al raggiungimento del nostro obiettivo: possiamo ‘immagazzinare’ delle informazioni che riteniamo utili e ‘richiamarle’
al momento opportuno, riaccedere ad esperienze passate e lontanissime da cui possiamo trarre elementi utili per il raggiungimento del nostro scopo, costruire esperienze sconosciute, immaginare.

E’ importante anche che i nostri obiettivi siano concretamente definiti sia a breve che a lungo termine (che cosa voglio adesso? Che cosa voglio tra 10 anni?). Gli obiettivi a lungo termine ci servono per ‘mirare in alto’, per stabilire un piano di lavoro che ci conduca a quanto desideriamo davvero raggiungere: non temiamo di porci degli obiettivi ambiziosi! Potremmo stupirci noi stessi del punto in cui arriveremo. Ma nel corso del cammino abbiamo bisogno di gratificazioni che non siano troppo lontane nel tempo.

Il raggiungimento degli obiettivi a breve termine ci servirà appunto da ‘rinforzo’, da rifornimento per la nostra autostima; inoltre servirà da feedback rispetto ai processi cognitivi messi in atto e guiderà la nuova raccolta ed elaborazione di informazioni. Fare ciò non è semplice, richiede una concentrazione e un ‘monitoraggio’ continuo sul nostro stesso modo di ragionare e, soprattutto, lucidità mentale.

Purtroppo proprio nella definizione degli obiettivi più importanti e più emotivamente coinvolgenti della nostra vita possiamo sentire di non poter contare su questa lucidità: ci sentiamo confusi su quanto vogliamo raggiungere, ci sentiamo ‘in conflitto’; ci può sembrare che una parte di noi voglia condurci in una direzione ed un’altra parte in una direzione apparentemente opposta. Cosa fare quando non riusciamo a rispondere alla domanda fondamentale: “che cosa voglio?”. Dobbiamo non porci obiettivi?

Conviene scegliere un obiettivo a caso?

La determinazione delle nostre mete, di ciò che riteniamo desiderabile per noi (e spesso per le persone che amiamo) non può essere lasciata al caso. Sono i nostri obiettivi a breve e lungo termine a determinare le nostre azioni, le nostre scelte, il fatto che ci sentiremo soddisfatti o meno, la nostra autostima, in definitiva il nostro benessere.

Quindi, se ci sentiamo ‘poco lucidi’ nel determinare ciò che davvero desideriamo, o se ci rendiamo conto di non riuscire a ‘focalizzare’ l’attenzione su quanto è importante per noi, affidiamoci ad un professionista che sia in grado di comprenderci ed aiutarci.

Non servono anni di psicoanalisi per fare chiarezza dentro di noi. Possono bastare pochi incontri con uno psicologo per acquisire consapevolezza dei nostri stessi processi cognitivi, per sciogliere quei nodi che ‘distraggono’ la nostra attenzione e continuare con serenità a perseguire i nostri scopi.

Comunicare con il sorriso

Abbiamo dimenticato come si sorride e come si ride.

Ognuno di noi possiede una maschera per uscire tra la gente e per andare nella vita di relazione. Siamo tutti ingrugniti ed incupiti e ciò maggiormente si nota in ambienti ostili e difficili, laddove vi sia una tolleranza minima per gli atteggiamenti del prossimo, oppure vi sia una grande criminalità diffusa.

Non ci si può mostrare bendisposti e/o arrendevoli, accomodanti e/o rilassati. La norma è di mostrare i denti o un atteggiamento deciso e determinato. La regola è di dover sgomitare e quindi di manifestare a tutti che non tolleriamo intrusioni o prepotenze.

Ma ciò va a discapito di un sereno equilibrio, mentre fa aumentare lo stress e provoca un senso di precarietà e di insicurezza.

Sarebbe bello, invece, incontrare persone cordiali, che sappiano esprimere benevolenza, che già dall’espressione del viso,comunicano cortesia e simpatia.

Abbiamo tutti necessità,per dir così, di coccole e di carezze. Ed allora siamo naturalmente orientati verso chi ispira tranquillità, chi sembra essere in pace con il mondo e che abbia buona disponibilità verso il prossimo.

In poche parole, siamo affascinati da chi sa ancora sorridere. Ecco per questo giova ricordare che ciò che vorremmo incontrare negli altri, potremmo imparare ad esprimerlo anche noi: sperimentare di comunicare con il sorriso.

Vediamone i punti essenziali, si potrebbe:

  • salutare con il sorriso
  • rispondere sempre e comunque con il sorriso
  • affrontare le questioni, anche quelle conflittuali, con il sorriso – fare domande, ringraziare, chiedere, ascoltare, con il sorriso
  • iniziare una discussione, e tentare di arginarla, con il sorriso
  • andare tra la gente, con un sorriso – imparare a lavorare, con il sorriso e per estensione:
  • tentare di stare da soli, con il sorriso
  • pensare,meditare, riflettere, con il sorriso
  • pregare,con il sorriso
  • fare ginnastica, eseguire tecniche di rilassamento, con il sorriso In definitiva in ogni espressione della nostra giornata,si potrebbe fare allenamento per mettere in opera questa semplice tecnica comunicativa, ormai abolita a causa della convivenza forzata nelle città e nel caos dei gruppi umani.

Il sorriso, a differenza della risata che è esplosiva ed occasionale nonché necessariamente motivata, può essere un atteggiamento costante di comportamento, di apertura verso gli altri, di dichiarazione visibile di disponibilità, di leggerezza emotiva.

Induce ad allentare la tensione in chi lo mostra ed in chi lo “riceve”. Inoltre il sorriso, come la risata, mette in movimento numerosi muscoli facciali e produce endorfine che migliorano il tono dell’umore e contrastano lo stress.

Un semplice cambio di atteggiamento quindi può produrre miglioramenti,con il tempo, sbalorditivi e duraturi, ma anche, meraviglia delle meraviglie, trasformazioni positive sulla nostra salute e sulla qualità della vita.

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